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Nel nostro paese la spesa pro-capite è al di sotto della media Ocse

Norvegia e Svizzera in graduatoria subito dietro gli Stati Uniti

Sanità, l'Italia spende meno

negli Usa l'assistenza più cara

Cifre record per i parti cesarei: quasi 4 su dieci; ci batte solo il Messico

Sanità, l'Italia spende meno negli Usa l'assistenza più cara

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2009-12-11

INCHIESTA

Analisi e radiografie, le tariffe pazze

del federalismo sanitario

Indagine di Altroconsumo. Prezzi triplicati da una regione all'altra. Non sempre in quelle del Nord i prezzi più bassi

di LUISA GRION

Analisi e radiografie, le tariffe pazze del federalismo sanitario

ROMA - La sanità in Italia non è uguale per tutti: cambia l'offerta di servizi, ma soprattutto cambia il costo che il cittadino è chiamato a pagare per avere accesso alle prestazioni di base. Una giungla di tariffe che trova il suo culmine proprio nell'analisi più comune: quella del sangue, dove la variazione fra una regione e l'altra può superare il mille per cento. Fare un prelievo in una struttura pubblica o convenzionata del Lazio costa solo 52 centesimi, ma la stessa analisi eseguita in un laboratorio delle Marche viene pagata dal paziente 6 euro e 20 centesimi. Poco meglio va per i controlli dal ginecologo: le donne umbre, se la cavano con 16 euro a visita, ma le loro amiche piemontesi - per la stessa prestazione - sono chiamate a sborsarne più di 30 (l'aumento è del 82 per cento). E la radiografia del polso? In Veneto ve la fanno per 28 euro, ma se siete disposti a fare qualche chilometro e a varcare il confine con l'Emilia Romagna pagherete la metà. La confusione è totale: da un capo all'altro del territorio nazionale variano le tariffe, le esenzioni ammesse, le norme che regolano l'intricata galassia delle ricette, perfino i ticket da versare per accedere ad esami, visite, terapie. La maggior parte delle regioni chiede 36,15 euro, ma si arriva ai 45 della Calabria e ai 46,15 della Sardegna.

A compiere questo lungo viaggio nell'Italia delle mille differenze è un'indagine di Altroconsumo ("Il prezzo della salute") che passando al setaccio i tariffari 2009 delle

varie regioni ha scoperto come in Italia i pazienti non siano tutti uguali: al di là delle differenze qualitative dei servizi offerti, vi sono anche notevoli varietà nelle tariffe che sono chiamati a versare.

Oggetto dell'indagine sono state le 31 prestazioni ambulatoriali più richieste divise fra visite specialistiche, esami di laboratorio e diagnostici. Il risultato si presta a paragoni sconcertanti: i principali esami di laboratorio in Puglia costano in media il 56 per cento in più rispetto all'Emilia Romagna, le visite specialistiche in Piemonte sono più care dell'82 per cento rispetto all'Umbria. E non è detto che nelle classifiche dei prezzi, il Sud sia sempre maglia nera: in realtà, riguardo agli esami di laboratorio la palma della regione più esosa va alle Marche, che però diventa la più virtuosa quanto a visite ed esami diagnostici. Campi in cui le tariffe più alte si registrano invece in Piemonte, Friuli e Veneto.

A cosa è dovuta questa rete di diseguaglianze? Al federalismo sanitario che - per le prestazioni elencate nel cosiddetto "nomenclatore tariffario" - attribuisce alle singole regioni la possibilità di fissare i livelli di prezzo (spesso negoziati con i laboratori privati convenzionati) cui le strutture devono attenersi. Per ciascuna analisi prevista da quell'elenco il Servizio sanitario nazionale versa una "tariffa massima", sforare quella quota vuol dire far pesare il maggior costo sui bilanci pubblici e quindi sui cittadini. Non solo: dal 2002, grazie ai Lea (i livelli di assistenza minima) le prestazioni riconosciute dal Servizio sanitario sono diminuite. Ma le regioni che vogliono farlo possono aumentare i servizi offerti coprendo i maggiori costi con risorse proprie. Ciò ha fatto sì che la rosa delle tariffe applicate si sia ulteriormente ampliata.

Ora, denuncia Altroconsumo "dal federalismo sanitario è naturale aspettarsi differenze, ma è francamente difficile spiegare tariffe così distanti". Il ministero della Salute "dovrebbe monitorarne l'andamento, appurare le cause delle anomalie, intervenire" e "in nome del diritto alla trasparenza, informare i cittadini".

(11 dicembre 2010)

 

2009-12-08

Nel nostro paese la spesa pro-capite è al di sotto della media Ocse

Norvegia e Svizzera in graduatoria subito dietro gli Stati Uniti

Sanità, l'Italia spende meno

negli Usa l'assistenza più cara

Cifre record per i parti cesarei: quasi 4 su dieci; ci batte solo il Messico

Sanità, l'Italia spende meno negli Usa l'assistenza più cara

ROMA - L'Italia è tra i paesi dell'universo Ocse che spendono meno per la salute. La spesa pro-capite italiana per la sanità è pari a 2.686 dollari (8,7% del Pil), al di sotto della media dei 30 Paesi Ocse, di 2.984 dollari (8,9% del Pil). I dati sono contenuti nel rapporto 2009 sulla salute dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, pubblicato oggi.

In generale, si rileva nel rapporto, nel decennio 1997-2007 la spesa pro-capite per la salute nei paesi Ocse è aumentata ogni anno del 4,1% l'anno. In Italia, come in altri Paesi industrializzati, la spesa è cresciuta a un ritmo decisamente inferiore (2,4%).

In testa alla classifica della spesa sanitaria ci sono gli Stati Uniti, con 7.290 dollari, l'unico Paese nel quale la spesa privata supera quella pubblica. Con 4.763 dollari, la Norvegia è seconda nella classifica della spesa sanitaria pro-capite e la Svizzera è terza con 4.417 dollari e un'alta proporzione del privato. I livelli di spesa più alti (fra 3.000 e 4.000 dollari), rileva l'Ocse, si concentrano nei paesi dell'Europa settentrionale e occidentale.

L'Ocse valuta positivamente la qualità delle cure prestate in Italia alle persone in condizioni di pericolo di vita nonché la tendenza a evitare l'ospedalizzazione in caso di patologie croniche quali l'asma.

Il rapporto Ocse segnala invece il livello record dei parti cesarei che mette l'Italia al livello del Messico: quasi quattro bambini su dieci nascono in questa maniera. I dati, relativi al 2007, indicano che in Italia ogni 100 nati vivi, 39,7 nascono con il taglio cesareo, contro la media dei Paesi Ocse pari al 25,7. Il Messico supera l'Italia per una minima differenza con il 39,9%. Il ricorso al cesareo è decisamente meno frequente in Finlandia (16), Norvegia (15,9) e Olanda (14), in coda alla classifica.

Il Rapporto Ocse rileva comunque un aumento generalizzato dei cesarei negli ultimi dieci anni, legato ai minori rischi connessi a questo intervento, all'accresciuta preoccupazione per eventuali accuse di negligenza, a un maggior ricorso alla programmazione delle nascite a vantaggio del medico e della donna. Nonostante i progressi, comunque, secondo l'Ocse il cesareo è ancora un intervento rischioso (soprattutto per la comparsa di complicanze per la madre e il neonato), al punto da mettere in dubbio la prevalenza dei benefici sui costi.

(8 dicembre 2009)

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